DOPO L'ASSASSINIO DI MONS. JUAN GERARDI CONDERA

Di Marco Fantoni



La storia si ripete. I testimoni del Vangelo, coloro che in prima persona proclamano la loro fede attraverso le opere, coloro che si fanno portavoce dei più deboli, dei più poveri, sono messi a tacere. L'ultimo caso, quello di Mons.Juan Gerardi Conedera, 75 anni, Vescovo Ausiliare e Vicario Generale della Arcidiocesi di Guatemala, ucciso domenica 26 aprile scorso nella sua abitazione a colpi di pietra, non fa che confermare, purtroppo, quella tendenza che vuole screditare la Chiesa. Dai casi più conosciuti degli ultimi 20 anni come quello dell'Arcivescovo di San Salvador Mon Oscar Romero, ucciso sull'altare nel marzo del 1980, ai molti religiosi e religiose periti nei vari Paesi mentre portavano la parola del Signore, questi avvenimenti, da una parte animano sentimenti negativi, di tristezza, ma dall'altra ci convincono sempre più, di come i rappresentanti della Chiesa incarnano ciò che il messaggio evangelico ci ha insegnato. Farsi voce degli emarginati, come appunto il Vescovo Gerardi, che ha sempre operato in questo senso. Giovanni Paolo II ha condannato questo come "crimine esecrabile, che è costato la vita a un vero servitore della pace e a un infaticabile operatore di armonia tra tutti i settori della popolazione". La Conferenza Episcopertine/copale guatemalteca ha reagito immediatamente alla perdita del confratello, avvertendo gli "assassini" e gli "ambienti oscurantisti" che la Chiesa locale "continuerà a lottare ed a operare per la giustizia sociale" aggiungendo "La voce di Juan Gerardi continuerà a sentirsi come un'eco eterna in tutti i recessi della nostra patria. Non l'hanno spenta, l'hanno resa più potente". La vita di Mons. Gerardi era legata alla lotta per i diritti umani, lotta che l'aveva portato a coordinare il progetto interdiocesano "Salvaguardia della memoria storica" e due giorni prima della morte a presentare il rapporto "Guatemala: mai più!" con le documentazioni sulle violenze della guerra civile degli ultimi 36 anni di questo paese. Sono infatti presentate in questo rapporto, testimonianze sul conflitto che ha provocato 150'000 vittime, 50'000 desapericidos ed oltre un milione di profughi. Mons.Gerardi era stato uno dei principali artefici dei dialoghi che portarono nel 1996 agli accordi tra governo e guerriglia. Ed è proprio in questi ambienti, probabilmente tra l'esercito, che va ricercato il mandante. Negli anni ottanta venne addirittura espulso dal Paese dalla dittatura del generale Lucas a causa del suo impegno nel difendere i diritti della popolazione.

I Vescovi guatemaltechi, non hanno sottaciuto alla popolazione il rischio che altri religiosi possano essere colpiti a causa del loro impegno quotidiano a favore dei più deboli.

Già 10 anni fa in un'intervista televisiva, Mons. Gerardi confermava quanto la sua opera fosse di disturbo. Diceva infatti : "La situazione delle Diocesi del Guatemala, era diventata abbastanza difficile e pericolosa, dopo che era stata fatta la scelta preferenziale per i poveri. Infatti, ne venivano denunciate tutte le violenze e le ingiustizie che erano compiute contro la gente. La Chiesa della mio Diocesi ha cominciato ad essere perseguitata nel 1980, dall'inizio di gennaio in avanti, con una serie di minacce e numerosi attentati ai catechisti. La persecuzione è andata aumentando rapidamente, fino ad arrivare in aprile ad un attacco diretto contro alcuni sacerdoti. Nel mese seguente, a maggio, c'è stato un altro violento attacco alla stessa casa parrocchiale. A giugno hanno ucciso il primo sacerdote. A quel punto, nella Diocesi si era creata una fortissima tensione. Alcuni sacerdoti sono scappati, ad altri è stato proibito di ritornare. Eravamo 14 sacerdoti, siamo rimasti in 6. Le pressioni sono diventate tanto forti da non riuscire più a sopportarle. Ad un certo punto hanno cominciato a perseguitare anche me, mi sono accorto che mi cercavano, certamente per ammazzarmi. Per questo abbiamo deciso che non era più possibile continuare a vivere in quelle condizioni. Abbiamo deciso allora di abbandonare la Diocesi, ma non per protesta. Non credo che una Diocesi debba essere abbandonata per protesta, sarebbe anti-evangelico, ma per salvare le nostre vite, per poter uscire vivi da quella situazione. Così abbiamo deciso di lasciare la Diocesi nel mese di luglio".

Sono le lotte di potere che in troppi paesi perdono di vista quello che è il valore della giustizia e della dignità della persona. Lo so riscontra purtroppo in quelle nazioni dove la disparità di qualità della vita denota una netta differenza tra una minoranza ricca e potente che controlla una maggioranza povera e debole. Gli interessi in gioco in questi casi sono alti e come spesso accade non dipendono solo da volontà interne dei paesi, ma riscontano grosse influenze esterne.

L'apporto delle Chiese locali in queste situazioni è spesso mirato alla difesa dei diritti elementari della persona, attraverso la testimonianza evangelica, ma altrettanto frequentemente soffocato senza mezzi termini.

Sulla situazione specifica, l'Arcivescovo di Guatemala City Mons. Prospero Penados del Barrio ha commentato: "In Guatemala c'è una cattiva distribuzione delle terre. Quelli che ne hanno molto, sono pochi, tutti gli altri non hanno il sufficiente per vivere. È questo il lamento dei contadini, gridato per mezzo del loro Pastore. Abbiamo anche alcune soluzioni. La Chiesa cattolica non è esperta in materia di agricoltura, ma vuole richiamare l'attenzione dei cattolici che sono ricchi, possidenti e latifondisti, perché con sensibilità cristiana ascoltino il lamento dei contadini, espresso dai Vescovi. Proponiamo una migliore distribuzione della terra e chiediamo che questa distribuzione inizi dalle terre statali. Il governo ha molte terre che non sono coltivate. Noi chiediamo che ci sia un dialogo, un incontro per trovare una soluzione al problema delle proprietà delle terre, che è la ragione principale dello squilibrio sociale e la causa di odio e di divisione tra i guatemaltechi. Se esiste una migliore distribuzione della terra, c'è più lavoro, più produzione e ci sarà più pace in Guatemala. Le reazioni non si sono fatte attendere. Comprendiamo la reazione violenta contro la Chiesa cattolica, soprattutto da parte di quei gruppi sociali che non vogliono cambiamenti. Vogliono che il Guatemala resti uguale, senza evolversi. La Chiesa, stando a contatto con la società guatemalteca, ha interpretato questa dura situazione. Esigiamo cambiamenti sociali. Ci hanno accusato di essere agitatori. Hanno detto che l'Arcivescovo ha relazioni con i sovversivi, con la guerriglia e hanno inviato un telegramma al Santo Padre dicendo che io sono comunista. Questa è una reazione normale, loro non vogliono che il Guatemala cambi, che progredisca. Io li ho chiamati gente dalla mente ossidata, che non cambia, che vive ferma a 50 anni fa. Ma i Vescovi del Guatemala ed io, crediamo che queste reazioni siano normali, perché abbiamo scopertine/coperto una ferita molto grave, che era tenuta nascosta e che non si voleva curare".

Ferite che non si vogliono curare da chi ha interesse a lasciar incancrenire i vari sistemi, dove però la Chiesa ha dimostrato di avere la medicina giusta, basta volerla accettare.